LE AVVENTURE DI PINOCCHIO - CARLO COLLODI

Questa volta la febbre del Pripi è arrivata proprio a fagiolo, non solo perché ci ha dato la scusa per bivaccare nel lettone fino alle nove del mattino, cosa che in queste giornate piovose di inizio autunno non é esattamente un grande sacrificio, ma anche perché, soprattutto, ci ha fornito l'occasione perfetta per buttarci in questa nuova avventura: la lettura di un vero libro. 

Leggere non è certo una novità per noi, è un rito sacro, irrinunciabile, fa parte delle nostre giornate come mangiare, giocare o dormire. Solo che fino ad ora abbiamo sempre scelto storie brevi, che si potevano completare entro l'ora della nanna oppure al massimo il giorno seguente.

È ben evidente che per un bambino piccolo un libro senza figure, o che ne ha poche, risulta molto meno accattivante rispetto ad uno che invece ne è ricco, e il mio Pinocchio, che ho sempre visto come il libro giusto per questo passo, essendo un’edizione integrale, di immagini praticamente non ne ha, se si eccettuano alcune grandi tavole a colori e qualche schizzo all'inizio dei capitoli. Infatti il primo tentativo di leggerlo, nello scorso inverno, aveva avuto un esito poco felice, perché il Pripi si era stancato quasi subito. Questa volta, invece, la febbre alta e l'esigenza di tenere gli occhi chiusi, gli ha fatto dimenticare completamente le figure, ciò che importava era solo ascoltare la storia. Ed ecco che, allora, ho colto al volo l’occasione.

Pinocchio mi fu regalato, oserei dire, alle elementari e lo associo invariabilmente all'immagine della mia mamma che, seduta su una sedia posta fra il letto mio e quello di mio fratello, leggeva sera dopo sera le avventure del celebre burattino.

La storia di Pinocchio è nota e arcinota, tutti la conosciamo, se non altro per la versione a cartoni animati di Walt Disney, per il bellissimo sceneggiato televisivo di Luigi Comencini, per il film di Roberto Benigni, ma anche attraverso le moltissime riduzioni del racconto originale. Ma l'edizione integrale? Quanti l'hanno letta? Quanti la ricordano? Quanti riescono a coglierne i significati nascosti?

Non ho mai amato Pinocchio in modo particolare, come tutte le bambine ero più interessata a principesse, principi e cavalieri, per questo rileggere Pinocchio adesso è stato come leggerlo per la prima volta. L'ho trovato bellissimo, ricco di sfumature che di sicuro non avevo mai colto, ho ritrovato personaggi conosciuti e ne ho scoperto altri che al cinema, alla tivù e nei libretti sono stati completamente eliminati.

Ve lo ricordavate che la Fatina era all'inizio del racconto una bambina dai capelli turchini e che solo nel prosieguo della storia è diventata adulta? O che il vero nome di Lucignolo è in realtà Romeo? Che c'è Melampo cane traditore, sì, ma c'è anche un Can-Mastino, tal Alidoro, che salva Pinocchio da una morte certa, perché il pescatore verde lo vuole friggere? E accanto a lui Medoro, il Can-Barbone, che guida la carrozza della Fata? Ma poi questo strano pescatore verde da dove salta fuori? E Geppetto, vi ricordavate che portava una parrucca giallo polenta, tanto da essere chiamato per derisione polendina?

E quanti animaletti vivono in questo libro oltre ai soliti noti, Gatto, Volpe e Grillo Parlante? Ve li ricordavate voi il Pulcino che non diventa frittata, il Merlo Bianco che cerca di mettere in guardia Pinocchio e che viene divorato dal Gatto, il Falco che salva Pinocchio dall'impiccagione, il Corvo e la Civetta che, assieme al Grillo, sono i tre medici convocati dalla Fata al capezzale di un agonizzante burattino? E i quattro Conigli-Becchini, il Pappagallo che si fa il solletico da solo, il Serpente che ride fino a morire, la Lucciola che insegna a non rubare? Ma anche tutti gli altri, il Colombo, il Granchio, la Lumachina, la Capretta, il Tonno e la Balena che poi è più propriamente un Pesce-Cane? Una sorpresa tutti questi personaggi che sono sempre stati nella storia e che avevo completamente rimosso: animano il libro, lo rendono vivo, vario, affascinante.

Pinocchio, a leggerlo ora, non mi pare esattamente e solo un libro per bambini, anche se è un capolavoro indiscusso della letteratura infantile; per certi versi è crudo, duro, ci sono scene violente, la morte è presenza costante, uno spettro che fa paura, ci sono morti reali (ad esempio quella di Lucignolo o del Serpente) o presunte tali (come quella della Fata, di Geppetto, del Grillo Parlante), c’è chi come il Tonno è inizialmente rassegnato all’arrivo della morte (c'è più dignità a morir sott'acqua che sott'olio), lo stesso Pinocchio rischia di morire mille volte; ma troviamo anche ragazzi che si azzuffano, adulti che litigano furiosamente (i due falegnami), chi finisce ferito (come tal Eugenio colpito da un libro). È ben vero che nella letteratura didattica di quegli anni la storia triste ha una sua ragion d'essere e l'inculcare al piccolo lettore la paura, quasi il terrore, delle conseguenze per comportamenti non esemplari ha un intento pedagogico, ma - caspita! - i Conigli-Becchini hanno fatto venir la pelle d'oca pure a me!

Leggere Pinocchio con mio figlio è stato ritrovare in lui me da bambina, le risate alle scene buffe, l'attesa nei momenti di suspense, lo stupore per gli eventi magici. Il libro gli è piaciuto molto, questo è indubbio: mamma, un giorno lo leggiamo un’altra volta?

Interessante è stato poi mettere a confronto il nostro stato d’animo una volta arrivati alla fine: da un lato la sua espressione da pesce lesso, quella di quando arrivi all’ultima pagina del libro e rimani lì fermo, sperando ci sia ancora da leggere, ma sapendo che purtroppo non c’è più nulla; dall’altro la mia sensazione di grande malinconia.

Due reazioni diverse alla medesima immagine.

Lo confesso, pur conoscendo perfettamente la fine della storia, sono rimasta con l'amaro in bocca, ma non tanto perché è finita (è chiaro che la potremo rileggere ancora), ma per come è finita. L’immagine del nuovo Pinocchio, così ben illustrata da A.Baita, ce lo rende subito un tantino odioso (fa tanto primo della classe saccente) e ci rende ancor più simpatico il burattino senza più vita, appoggiato alla bell’e meglio sulla sedia, tanto che ne proviamo subito nostalgia. 

Ma, in fondo, siamo sinceri, che cosa ricordiamo di più di Pinocchio? Le sue birichinate o il fatto che è diventato un bambino modello? Forse è proprio vero quello che ho letto e cioè che la trasformazione in un bambino non è altro che la metafora del passaggio dall'infanzia spensierata alla vita adulta fatta di doveri e di responsabilità. E a chi, dunque, non verrebbe voglia di tornare indietro?

Un grande libro, un’esperienza tutta da vivere, meglio se con un bimbo, in un lettone morbido, quando fuori piove.



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